Descrizione Progetto
Il nostro viaggio comincia qualche giorno prima di Natale quando portiamo le 3 macchine al porto di Livorno per essere imbarcate nei containers della Naviera Pinillos, compagnia spagnola che trasporterà le nostre benamate in suolo africano nel giro di una decina di giorni. Lasciamo Livorno con la garanzia dello spedizioniere che la nave sarà ad Agadir entro fine anno; prenotiamo quindi biglietti aerei per il 3 gennaio non fidandoci troppo della data di arrivo stimata della nave spagnola porta container. Il giorno 3 gennaio atterriamo ad Agadir verso le 18 carichi come delle molle ed immediatamente telefoniamo allo spedizioniere locale il quale ci avverte che la nave non è ancora arrivata e che, inshallah dovrebbe farlo la mattina successiva. La mattina seguente (4 gennaio) abbiamo la conferma tanto attesa, la nave è in porto e sta scaricando i containers; per esperienza so che non ce la faremo mai a sdoganare in giornata e quindi metto pressione allo spedizioniere perché tutto sia effettuato entro le 12 del giorno successivo. Come al solito gli dico che organizzo viaggi e che se mi renderà un buon servizio in tempi e cifre adeguate tornerò presto. (NB: in Africa la speranza di un domani migliore ha un valore molto più alto che da noi). Il 5 gennaio alle 4 del pomeriggio usciamo trionfalmente dalla dogana del porto di Agadir e c’incamminiamo verso sud con obiettivo Tan Tan plage come prima tappa, ma, un po’ per il grande traffico sia in città che, soprattutto, per i primi 40-50km in uscita dalla stessa (in pratica quasi fino Tiznit) i nostri tempi si dilatano sensibilmente. A Goulimine è già buio e decidiamo di fare sosta presso il mitico Fort Bou Jerif che ci consente di mettere le ruote sullo sterrato e di mangiare, bere e dormire alla grande. Verso le 8 di sera siamo al fortino ed alle 11, dopo lauta mangiata di pesce e bevuta di birra, siamo tutti a nanna sotto una comune tenda berbera, la magia dell’Africa comincia a farsi sentire. Il mattino seguente, 6 gennaio, ci svegliamo di buon ora con l’intenzione di fare molti chilometri e con l’obiettivo di uscire dalla pista dei relitti a nord di Laayoune prima del buio. E’ la prima volta che riesco a mettere assieme un gruppo così tosto ed affiatato, siamo tutti esperti viaggiatori, uno di noi è meccanico professionista, le macchine sono (finalmente, dopo tanti anni di predica..) identiche e soprattutto ben preparate. Capisco subito che teniamo delle medie mostruose e che sarà molto probabile fare tutto quello che avevamo programmato nei tempi a disposizione. La pista Dawra-Laayoune è un gran bel diversivo e rompe la monotonia dell’asfalto proprio a metà strada tra Agadir e Guerguerat senza peraltro farci fare kilometri aggiuntivi. L’imbocco della stessa è dal camping le roi bédouin, segnalato sull’asfalto, dopo di che si seguono i punti di Gandini anche se è abbastanza facile perdersi. Così facciamo anche noi, anche se oramai, nell’era del GPS, non si può più chiamare così.. noi l’abbiamo ribattezzato “il trifolo” (termine coniato dalle nostre parti dai cercatori di funghi e tartufo) ed è, per il sottoscritto, una delle parti più eccitanti del nomadismo sahariano in 4×4.. Dopo qualche decina di km di sassi entriamo nelle bellissime barcane dell’erg Agttiw dove zig zaghiamo resistendo alla tentazione di valicare le belle dune arancioni sapendo che non è qui dove dobbiamo perdere tempo insabbiandoci; l’obiettivo vero di questa deviazione sono i 30km da percorrere sulla battigia nel tardo pomeriggio a marea bassa. Così facciamo transitando sulla battigia proprio al momento giusto, non abbiamo neanche dovuto sgonfiare le gomme e le velocità superano abbondantemente i 100 km/h; per CB m i raccomando con tutti di fare i bravi e di non esagerare, ma, in men che non si dica, con la testa, siamo già tutti in speciale sulla spiaggia rosa di Dakar.. Finiamo anche in acqua un paio di volte con effetto scenico notevole ma con relativo crostone di sale sulla macchina che se ne andrà solo grazie allo effetto-smeriglio del vento di sabbia mauritano. Tornati sull’asfalto tiriamo fino a Boujdour dove pernottiamo in uno dei due hotel della cittadina. Half the population still depends on agriculture and livestock for a livelihood, even though many of the nomads and subsistence farmers were forced into the cities by recurrent droughts in the 1970s and 1980s. Mauritania has extensive deposits of iron ore, which account for nearly 40% of total exports. Alle 16 del giorno seguente, 7 gennaio, siamo in dogana a Guerguerat e circa 90 min dopo siamo fuori dalla dogana mauritana con carnet de passage timbrato, niente più bisogno di passare da Nouadhibou, quindi. La nuova strada m’incuriosisce e alla sua vista mi rendo conto dell’importanza che avrà per lo sviluppo del paese, finalmente attaccato idealmente all’Europa da un nastro nero percorribile da chiunque, un bene per loro, un male per noi.. Ci fermiamo a dormire nel campeggio di Bou Lanouar qualche decina di kilometri dopo la prima interruzione dell’asfalto. Il camping è fatiscente, semplicemente un pezzo di deserto circondato da un muro che ti protegge dal vento, perfetto per noi ed il nostro spirito. Primi interventi di ordinaria manutenzione visto che uno dei tre bulloni della staffa di sostegno del mio compressore dell’aria meccanico si è rotto. Anche l’8 di gennaio tira un vento di sabbia notevole e per il terzo giorno consecutivo non vedremo mai il sole per tutto il giorno, un peccato, un fastidio ma anche una fortuna in termini di temperature: il nostro corpo si acclimata molto più naturalmente così e la fatica dei kilometri si fa sentire molto meno. Per oggi abbiamo in programma la prima vera pista del nostro viaggio, in pratica il collegamento tra il nuovo asfalto subito fuori le temibili dune dell’erg Azeffal e l’asfalto che collega Nouakchott ad Atar. Avevo già fatto questo percorso durante il mio primo viaggio in RIM 10 anni orsono e ne ho un gran bel ricordo. La guida Takla Makane riporta dei punti GPS lungo il medesimo asse e parla di percorso scorrevole, quindi il nostro obiettivo di uscire dalla pista prima del buio, nonostante i circa 230km di pista complessivi, potrebbe non essere una chimera. Lasciamo l’asfalto poco prima di Tioulit immettendoci su di un chott che tira abbastanza, è venuta l’ora di mettere mano ai manometri: le gomme scendono dai 3 bar stradali a circa 2 bar calde. Seguiamo il chott tenendoci le ultime propaggini dell’erg Azeffal sulla sinistra ma senza mai trovare tracce decenti e ben presto c’infiliamo, senza volere, dentro un paio di cordoni dell’erg che però dobbiamo valicare poco dopo: prime piantate.. Morale alto, piastre e via, siamo veramente un esercito..! in prossimità del pozzo di Bou Guetra (19°17 N – 15°40W) ritroviamo delle tracce sempre più evidenti che ci porteranno velocemente a Bennichab dove viene prodotta l’acqua minerale in bottiglia mauritana. I punti GPS in nostro possesso ci porterebbero verso l’asfalto ma in realtà siamo su una pista molto scorrevole e divertente che tira su Akjoujt seguendo una pipe line, che battezzeremo poi un acquedotto. Al tramonto sbuchiamo sull’asfalto presso Akjoujt ed incontriamo immediatamente un mezzo di assistenza della Dakar fermo al benzinaio. Sapevamo che la Dakar sarebbe stata da queste parti ma non pensavamo di finirci dentro paro paro; infatti tutto il trasferimento su asfalto verso Atar in notturna è stato un vero spettacolo di mezzi e luci della gara. Nota dolente, in città non c’è un buco per dormire ed il buon Justus del camping Bab Sahara ci manda a dormire presso il camping di Azougui, molto caratteristico anche se molto, molto spartano (20°34,3N – 13°06W). Il 9 mattina andiamo a fare un giro all’aeroporto dove la Dakar è ferma per il giorno di riposo, spettacolo nello spettacolo anche se la macchina che mi ha più impressionato è stata la 2CV dell’autore della guida Takla Makane (Cyril Ribas) a doppio motore…! Nel pomeriggio, dopo lauta spesa al mercato e soprattutto dopo aver caricato 420L di gasolio per ogni veicolo, partiamo per i famosi 2000km nel nulla, vero pezzo forte del nostro viaggio. Essendo già stato da queste parti più d’una volta, ho in programma di lasciare Atar seguendo un itinerario cartografico che ci porta a seguire un paio di oued sabbiosi (dapprima Taouaz, poi Toueiderguit) fino a ricongiungerci alla pista Atar-El Beyed in prossimità circa, dell’oasi di Jraif (20°40N – 12°46,5W). Macchine stracariche ma assetti e gomme come si deve, prime soddisfazioni: le macchine vanno che è una meraviglia, morale altissimo. Vista l’andatura decidiamo di tirare fino a quella che noi chiamiamo la casa del sultano (20°58,2N – 12°20,1W), sapendo, essendo passati di qui due anni orsono, che avremmo trovato riparo dal ghibli che soffia a 30 nodi oramai da una settimana. In questi viaggi è bello stancarsi di giorno, ma la notte bisogna riposare bene e quindi in caso di vento di sabbia insistito è sempre bene cercare riparo presso vecchi fortini dei francesi oppure, come in questo caso, presso l’antica residenza dello sceicco Beit ez Ziar, oggi amena capanna di pastori. Arriviamo poco prima del tramonto dopo aver percorso 121km da Atar. Sistemiamo le tende, apriamo il tavola all’interno della casa ed accendiamo un bel fuoco quando, all’improvviso, si mette a piovere !! Per un ora ce ne stiamo rintanati dentro la casa sotto una pioggia battente, mai vista una cosa simile di quest’epoca e a queste latitudini in 20 anni di Sahara.. Dopo una notte tranquilla il 10 gennaio ci svegliamo sotto un cielo finalmente sgombro di nuvole, chissà che non si riesca a vedere il sole oggi, mi dico; appena lo penso riattacca il vento di sabbia, inesorabile. La pista è scorrevole, soprattutto dentro il grande lago salato Chem Cham ed i kilometri scorrono veloci. D’un tratto scorgo in lontananza le bandiere della Dakar, siamo ad un controllo di passaggio, nonché benzina per i motociclisti, wow ! Sinceramente, da quando ho smesso coi rally raid non ho più avuto grande pulsione verso questo genere di cose, ma i ragazzi del gruppo sono in estasi e vogliono vedere passare qualcuno. Ci appostiamo in un punto strategico, subito fuori dall’erg Makteir a circa 3-4km dal controllo di passaggio. Per circa 3 ore assistiamo al grande spettacolo del passaggio dei concorrenti, incluso il caro Fabrizio Meoni che perirà il giorno seguente, brividi… La Mitsu ufficiale di Peterhansel si ferma a rigonfiare i pneumatici proprio davanti a noi, estasi totale con elicottero di Eurosport che riprende la scena…! Ripartiamo dopo pranzo e poco dopo ci troviamo alle falde del passo sabbioso di El Beyed, passaggio obbligato per raggiungere il fortino di El Ghallaouyia. Zero tracce, neanche flebili, pensavo fosse un pelo più utilizzato visto che a Ghallaouyia si trovano i militari, invece nulla, sabbia completamente vergine. Fortunatamente abbiamo il punto della Dakar98 che è proprio in cima e quindi giù le gomme di altri 0,2 bar e gas !! Gli 80 volano sulla sabbia vergine, il loro unico limite è rappresentato dall’assetto in fase di attacco o discesa della duna, di motore ce n’è eccome ! Uno dei miei amici è passato da poco dal 61 all’ 80 e non sta più nella pelle, è esaltato dalle prestazioni della sua nuova macchina anche se patisce un po’ avendo solo un assetto OME standard che, con circa 7 ton di carico, va in crisi molto in fretta. In cima al passo bisogna trifolare un po’ per trovare la successiva discesa dal plateau roccioso, ma con un po’ di calma e ragionamento ritroviamo ben presto le tracce della vecchia pista semi sommersa dalle sabbie che ci riporta verso valle nel canale naturale formato dalla falesia a dx e le dune del Makteir a sx, che spettacolo al tramonto ! Come al solito cerchiamo riparo per una notte tranquilla e da uno studio delle carte francesi a 200.000 salta fuori il nostro auberge: il vecchio fortino di Bir Ziri (21°33,3N – 10°46,4W) costruito, come Ghallaouyia, dai francesi nel 1930 e situato su di un montarozza che domina la vallata. Posto magnifico, ognuno monta la tenda nella sua camera..! Serata con tagliatelle al ragù, zampone e purè, lambrusco e grappino finale, un trionfo ! Precorsi 203 km. Al mattino presto del 11 gennaio riceviamo la visita di alcuni nomadi del posto, uno di loro ci chiede un passaggio per Ghallaouyia e si accomoda sul cassettino centrale tutto contento; fatica a capire come mai le nostre macchine abbiano soltanto 2 posti. Al fortino di Ghallaouyia ci sono i militari, molto cortesi, che ci fanno controllo di passaporti e ci danno indicazioni rispetto a quale dei 3-4 pozzi della zona sia quello con l’acqua migliore. Molti di noi riempiono le taniche visto che nei giorni a venire le fonti d’acqua andranno vai via esaurendosi. Ripartiamo e c’infiliamo su per la stretta gola che c’immette al passo sabbioso di Trig Chouail, molto tracciato dal recente passaggio della Dakar; giunti in cima l’orizzonte si apre e tutto ad un tratto siamo in mezzo al Ténéré… L’occhio corre nel nulla dipinto di giallo ed azzurro per centinaia di km a 360°, a sx l’erg Maqteir, a dx l’erg Ouarane, noi nel mezzo seguendo una direzione conforme ai gassi correndo a 80-90 km/h su fondo sabbioso compatto ma infido. Infatti, siamo su quelle che io chiamo onde lunghe, ovvero dunone tonde quasi impercettibili, ma che possono tradirti quando meno te l’aspetti. La luce è molto piatta, non c’è la minima vegetazione o traccia quindi si perde completamente il senso dell’avanzamento e della profondità. Pian piano entriamo sempre di più nell’erg Maqteir e cominciamo a valicare qualche cordone qui e là; sono cordoni millenari, sedimentati, facili da interpretare ed abbastanza spaziosi al loro interno. In pratica non è mai difficile trovare abbastanza spazio per una decente rincorsa, anche se le dune principali sono spesso ripide ed alte mai meno di 100-150m; le mani sudano dall’emozione, il cuore supera la soglia aerobica, si gode come matti…! Verso sera, causa distrazione per troppa sicurezza, il sottoscritto (che apre) prende l’attacco di una duna tonda troppo forte rispetto l’inclinazione in salita della stessa e la botta si sente eccome, la macchina schizza in aria e riatterra poco dopo, temo di aver fatto LA cazzata.. Ci buttiamo subito sotto per vedere il danno, ma, come per miracolo, tutto ha tenuto, le molle da 750kg ed il doppio ammortizzatore hanno lavorato a dovere, il tampone di fine corsa del ponte è integro e neanche troppo lucido, la barra dello sterzo sembra in ordine, anche se so, per esperienza, che dopo una botta del genere i guai non vengono subito a galla… Siamo nel bel mezzo del nulla ed una rottura seria adesso comprometterebbe parecchio. Faccio i debiti scongiuri e mi tengo dentro la preoccupazione, gli altri sono tranquilli, avanti Savoia..! A sera Christian (meccanico) da un’occhiata come si deve e mi conferma che è tutto al 100%, solo il gommino dell’ ammortizzatore di sterzo (rinforzato) ha preso un pelo di gioco. Ci metto mentalmente una pietra sopra anche se dentro di me temo brutte sorprese nei km a seguire, sono teso e per rilassarmi telefono ai miei bambini: mia moglie mi dice di Meoni.. sono sconvolto, lo conoscevo bene, eravamo amici; mi chiudo nel più grande e disperato silenzio, giro dietro una duna e mi lascio andare ad un pianto liberatorio. Lui era uno di noi, pace all’anima sua. Percorsi 240km. Il 12 gennaio ci alziamo di buon ora, la giornata sembra finalmente tersa e senza troppo vento, il cielo è azzurro e così rimarrà per i 4-5 giorni successivi. Appena fuori dall’erg, su suolo duro provo lo sterzo, i semiassi, nulla, tutto perfetto, incrocio le dita e non ci penso più. Arriviamo a Bir Amrane dove sono di stanza dei militari, non lo sapevo e neanche loro pensano a dei turisti, ci vengono incontro con le armi spianate.. Entriamo virtualmente in una enorme no man’s land regno (a detta di molti) di contrabbandieri di ogni genere; noi non abbiamo mai visto nessuno, neanche tracce di pneumatici per giorni e giorni. I militari sono molto cortesi e guidano dei Toyota nuovissimi, ci fanno le condoglianze per Meoni, toccante. Lasciamo Bir Amrane e ben presto cominciamo un fuoripista assoluto, senza punti rilevati sul terreno, solo cartografici studiati sulle carte a casa. Tagliamo dritto per dritto molti cordoni dell’erg Chech, navighiamo molto bene e nelle dune ogni tanto ci piantiamo ma mai in maniera grave, anzi, sotto sotto siamo anche contenti ogni tanto di spalare, rende il tutto più epico. Qualche duna è molto tagliata e facciamo discesa da capogiro, ma la cosa più emozionante è sapere di essere veramente lontani da tutto e da tutti senza riferimenti precisi, fantastico ! Verso mezzogiorno Encio fora la post. sx, siamo su un terreno misto sabbia e sassi molto levigati dal vento e quindi taglienti; gli troveranno successivamente una scheggia di sasso conficcata nel fianco del pneumatico ! Il nostro obiettivo serale è il cratere di El Mrayer (22°43,4N – 07°19’W) che raggiungiamo poco prima del tramonto, campeggiamo nel suo fondo sabbioso. L’aria è fresca ma tersa e secca come non mai, il morale altissimo. Percorsi 200km. Al mattino del 13 gennaio faccio un calcolo stimato dei nostri consumi e mi rendo conto che le cose vanno bene, la media si assesta spannometricamente sui 5 km/l come da programma. Appena ripartiti incontriamo due piccoli laghetti nel deserto (22°41,3’N – 07°15,6’W e 22°40,6’N – 07°15’W), che visione favolosa! Si tratta in effetti di oglats ma la loro acqua non è salmastra, anzi, vi sono anche forme umane che vi sguazzano (girini) e quindi decidiamo di fare provvista riempiendo alcune nostre taniche. Dopo aver aggiunto una robusta dose di Micropur l’acqua si rivela perfetta sia per lavarsi che per cucinare anche senza bollire. Oggi è il giorno del cambio di rotta, abbandoniamo la nostra direttrice NE per un S-SW . Giunti circa ai 22°05’N e 07°45’W entriamo decisamente dentro l’erg el Djouf con un paio di cordoni che valichiamo senza difficoltà, anche se la presenza sempre maggiore di touffes ci costringe a zig zagare parecchio con perdita di slancio che esalta ancor di più la potenza e coppia dei nostri 80. Il territorio è sempre meno liscio e vergine e man mano che procediamo verso sud aumentano sia la temperatura che la vegetazione; inoltre il vento adesso l’abbiamo nel sedere, il che non facilita la termoregolazione sia del nostro corpo che dei nostri motori. A fine giornata abbiamo percorso 200km ma molto più faticosi dei giorni prima e ci viziamo con l’ultima tagliatella alla bolognese. Il 14 gennaio è una giornata consacrata completamente alla guida in mezzo ai touffes su e giù per i dolci cordoni dunari della zona. Veramente massacrante sia psicologicamente che fisicamente, inoltre la temperatura è completamente cambiata e anche con l’aria condizionata accesa scende difficilmente sotto i 30° C in abitacolo. Durante le soste si cerca l’ombra, i consumi d’acqua pro capite salgono vertiginosamente. La motivazione principale è uscire dalla zona del Djouf per entrare nel piattone sabbioso del El Mrayer (lo specchio in arabo) che la guida Takla Makane da come très roulant con campi di touffes che vanno e vengono. Alle 16 usciamo dai touffes e per le successive 2 ore siamo improvvisamente in paradiso: la zona di El Mrayer è molto simile a quella dell’erg ouarane e maqteir: dune tonde lisce e dure come il marmo senza nessun punto di riferimento, ma la luce bassa rende il tutto assolutamente magico. Si surfa sulle dune a 80-90 all’ora stando attenti al taglio che è sempre in agguato; comunque una libidine pazzesca che ci fa presto dimenticare la fatica fatta per tutta la giornata. Campo circa 100km prima di Abolai, percorsi 222km. La mattina del 15 è momento di travasi di nafta: i serbatoi sul tetto vengono svuotati definitivamente e la macchina riacquista finalmente un assetto da gara. La libidine della sera prima svanisce ben presto e ricominciano i campi sterminati di touffes anche se meno grandi e fitti del giorno prima. All’ora di pranzo arriviamo alla grande balise in pietra di Abolai, segnata sulle carte a 200.000 con precisione svizzera, dove pranziamo felici per aver quasi raggiunto la pista cossiddetta dell’ aouker che congiunge Tidjikja a Nema, un classico della Dakar. Roberto ed io eravamo già stati qui 10 anni orsono, i ricordi di quel viaggio sono ancora limpidi: vento di sabbia perenne, sabbia molle (piena d’aria), sassoni e, soprattutto i temibilissimi campi di Aklé che ti schiacciano contro ilo batène (contrafforte della falesia). Il nostro pomeriggio si svolge interamente così, attraversiamo 2 o 3 temibilissimi aklé con buche profondissime dove un paio di volte faccio approfondite ricognizioni a piedi prima di procedere e saliamo e scendiamo dal batène altrettante volte, sempre sfruttandone la rampa sabbiosa, spesso molto ripida. Siamo in fuoripista assoluto da una settimana oramai e superiamo senza particolari problemi campi di sassi grandi come le nostre ruote (255-85/16), che spesso ritroviamo una volta risaliti sul batène, con una flemma degna del miglior touareg. Gli stress europei sono lontani anni luce, meraviglia … Usciamo dall’aklé Aoukar (18°30’n – 08°15’w) al tramonto con l’adrenalina a milla: abbiamo fatto dei passaggi veramente scabrosi, al limite, ma divertendoci come degli assassini. Campo alla falde del Gleibat Tifegrou, piccolo massiccio tabulare, finalmente il vento sorge e cala col sole e la temperatura al campo serale è magnifica. Il gruppo è stanco ma tutto va talmente bene che il morale è sempre alto. Percorsi 158km. Il 16 gennaio comincia male per il sottoscritto per aver passato una notte in preda al mal di denti, brutta cosa da avere in mezzo al deserto.. Ripartiamo lentamente perché siamo in una zona di massi enormi che ci costringono ad uno zig zag continuo poco divertente e ben presto saliamo e scendiamo nuovamente dal batène sfruttandone, come al solito, il suo contrafforte sabbioso. Stavolta è la discesa l’aspetto più delicato essendo molto ripida e con molti touffes giganteschi che ostacolano non poco la marcia. A fondo valle la soddisfazione di aver tracciato un nuovo passaggio si moltiplica quando ritroviamo, dopo più di 8 giorni, una pista.. una vera pista ! Siamo una ventina di km a est del pozzo di Aratane e d’ora in avanti ci sembrerà di essere in autostrada.. A metà mattinata troviamo un aeroporto costruito dai francesi negli anni 30 sfruttando un enorme e liscissimo lago salato, Bou Zib, presente sulle carte a 200.000. Il suo stato di conservazione è ottimo, anche se non v’è traccia di atterraggi o decolli recenti.. Lungo la pista che costeggia l’Aouker i pozzi sono numerosi, ma quello di Tinigart per noi ha un sapore particolare: 10 anni fa qui passammo 2 giorni a riparare la scassatissima Land 109 di uno del nostro gruppo. Il passo di Enji, tanto temuto da chi percorre questa pista, per noi è una consuetudine oramai, solito su e giù dal dahr con contrafforti sabbiosi e touffes; con l’80 non si mettono neanche le ridotte… La pista per noi è quasi una noia abituati come siamo a cercare continuamente un passaggio e quindi le velocità medie salgono, complice anche il ridotto carico di carburante; ed a sera siamo a meno di 80km da Oualata accampati in mezzo alle barcane. Fatti 177km. Il 17 gennaio, dopo una sveglia funestata da una vera e propria tempesta di sabbia, raggiungiamo dapprima Oualata dove sostiamo e visitiamo in un paio d’ore lo splendido villaggio e quindi Nema, dove ci ricongiungiamo alla realtà: asfalto e controllo di gendarmerie. Alla richiesta della nostra provenienza ho detto Aratane, così, tanto per non svegliare il can che dorme, non si sa mai … Dopo laute provviste e pieno di nafta siamo su asfalto con obiettivo Ayoun el Atrous dove giungiamo a sera in un bellissimo camping giusto all’entrata della città. Su asfalto tutte le macchine hanno denunciato uno stato di salute ottimo e quindi siamo in grado di continuare il nostro viaggio verso Nouakchott lungo l’itinerario previsto: l’oued taskas. Si tratta di un fuoripista cartografico senza 1 wpt. sicuro, ma un touareg del luogo, al camping, ci conferma che si può fare in 4×4; gasatissimi fatichiamo a prendere sonno pensando al trifolo del giorno seguente ! Il 18 gennaio passiamo la mattina a riorganizzarci: chi va in città a cambiare denaro per la cassa comune, chi fa provviste fresche, chi si occupa del reperimento di una stazione di servizio decente con aria compressa e buca per fare un po’ di manutenzione ai toy. Verso l’ora di pranzo ripartiamo e subito dobbiamno trovare un imbocco poco chiaro della pista che porta a Tamchekket. Dopo un po’ di trifolo (o jardinage come dicono i francesi) finalmente troviamo due carrate nella savana che vanno nella giusta direzione, il paesaggio è magnifico: acacie fitte, terra rossa, piccoli oued sabbiosi e montagne tabulari. Vicino ad una di queste ultime, il Guelb Samba, c’imbattiamo in un enorme gruppo di scimmie di notevoli dimensioni, estasi di gruppo. Motori zittiti immediatamente e videocamera alla mano riprendiamo tutta la scena mentre il capo si volta verso di noi con sguardo minaccioso, ci sono molte mamme coi loro piccini in groppa nel branco.. Per tutta la giornata incrociamo moltissimi animali e tutti in ottima saluta: la zona è piena di barrage (dighe) per le coltivazioni, qui la gente è felice e nessuno mendica. Ad ogni villaggio i saluti si sprecano e nessuno chiede niente, una meraviglia. Finalmente Carlo (figlio di un famoso chirurgo) può regalare tutte le medicine che si è portato dietro senza essere assalito. A fine giornata ci accampiamo su di una duna rosa per sfuggire ai fastidiosissimi cra-cra della savana. Aoudaghost, antica capitale degli Almoravidi che dominarono il mondo intorno all’anno 1000dc, la raggiungiamo il 19 mattina dopo aver navigato parecchio tra le mille piste della savana utilizzando da ultimo il letto dell’oued el Khneig. Riesumata dalle sabbia da una équipe di archeologi abbastanza recentemente può sembrare solo un cumulo di sassi, ma se uno ha un minimo di cultura storica fa abbastanza impressione sapere il potere gestito, al tempo, da chi abitava qui..! Tamchekket è un villaggio magnifico, incastonato tra dune rosa e savana gialla; i suoi abitanti sono emancipati dalla povertà di queste latitudini ed il primo cittadino ci porta in giro per la città facendoci vedere la scuola, il dispensaire medical, il reservoir d’eau e quant’altro di buono e civile hanno costruito. Il nostro viaggio prosegue e poco fuori Tamchekket, seguendo una vecchissima pista semi abbandonata in direzione oued taskas, giungiamo ad un altro aeroporto di fortuna creato dai francesi sfruttando un grande e liscissimo lago salato (17°13,9’N – 10°46,4’W). Segnali della pista e bandiera rileva vento ancora ben visibili, il tutto però in stato di totale abbandono, non come Bou Zib. Procediamo ancora qualche decina di km verso est fino quando inforchiamo due tracce che puntano decise verso Nord (17°15’N – 10°55’W) valicando un paio di dunette. Siamo eccitati e concentrati, sono giorni oramai che siamo abituati a seguire flebili tracce che spesso si perdono su fondo duro per riapparire poi su fondo morbido anche se molto più avanti.. La simbiosi con le carte dettagliate della zona, la bussola ed il GPS è oramai totale e si prendono decisioni (insperate fino a qualche anno fa) che si rivelano però quasi sempre azzeccate: una libidine ! Poco prima di accamparci al pozzo di Bir el Meiset accuso la rottura di uno dei 4 ammortizzatori post, il logorio di un viaggio di 20 giorni con in media oltre 200km di fuoristrada al giorno comincia a farsi sentire.. Campo magnifico in zona spettacolare: siamo dentro un oued sabbioso largo meno di 100m incastonato tra cordoni di dune arancioni alte 2-300m. Il giorno 20 arriviamo ai piedi del Tarf Taskas in prossimità del pozzo di Eyriera e notiamo subito l’impervia mulattiera che risale, per più di 300m di dislivello, la falesia. E’ il passaggio che consentiva la risalita della falesia ai mezzi a motore qualche lustro fa, oggi credo facciano fatica i muli, ma lo scopriremo solo salendo. Gonfiamo le gomme e proviamo ad attaccare la salita, ma dopo un paio di tornanti in prima ridotta con passaggi folli decido di fare una ricognizione a piedi, grazie a Dio ! La mulattiera è completamente distrutta dalle piogge e dalla sua stessa inconsistenza: credo si faccia molta fatica anche a piedi, per non parlare del rischio di franare a valle..! Giriamo il muso delle toy e, ridiscesi a valle facciamo il punto. Verso Ovest ci sarebbe il passo di Nega, ma dista quasi 100km in linea d’’aria, ma soprattutto, le tracce ben evidenti di una pista vera vanno nella direzione opposta, verso Est, verso Tichitt per intendersi. Non abbiamo scelta e prendiamo quindi verso est, la falesia nerissima sulla sx e le dune arancioni con touffes verdissimi a dx, uno spettacolo ! Prima di trovare un invito sabbioso per risalire la falesia passano 110km di pista molto scorrevole (con qualche punto sabbioso dove l’erg tocca la falesia) fino al Tarf Tikikatène (18°24’N – 10°21,4’W), impegnativa pista da bob (come direbbe Zaniroli, colui che traccia il percorso della dakar) in costante saliscendi tra dune e touffes enormi che ci consente di risalire, appunto, sul plateau. Al pozzo di Teidoum ci fermiamo a mangiare ed a ammirare il paesaggio, senza parole. Il resto della pista per Tidjikja è scorrevole su fondo sabbioso, a parte qualche intermezzo molto sassoso come ad esempio il passo subito a est di El Khcheb (18°30’N – 10°32’W), ma non pone alcun problema di navigazione. I mauritani hanno infatti balisato ogni km il nuovo percorso della pista che adesso passa molto più a nord di prima sfruttando l’immensa piana a nord della falesia cosiddetta dell’aouker. A Tidjikja arriviamo al tramonto dopo quasi 300km di pista, stanchi, anzi stanchissimi, ma consci di aver aperto una nuova via molto gratificante. Il campeggio in uscita dalla città subito dopo la stazione di servizio è ottimo (per le latitudini..) e ben presto crolliamo tutti in un lungo sonno ristoratore non senza aver prima sbranato una serie infinita di poulet-frites e pane e nutella come dolce. Il 21 gennaio compiamo i 600km di asfalto che ci separano da Nouakchott, da dove, in un paio di giorni spediamo le macchine per Livorno in container con lo spedizioniere SO GE CO (monsieur Benchiba +222-5252740) non senza aver fatto l’ultima, estenuante trattativa africana sul montante totale della spedizione. Stanchi e felici siamo rientrati in Italia esattamente 21 giorni dopo la nostra partenza e circa 6.000km (2.800 di asfalto 3.200 di pista) di viaggio assolutamente entusiasmante.